L’Healing Garden a modo nostro
di Antonio Bufano
Se possedete una biblioteca e un giardino,
avete tutto ciò che vi serve.
L’idea del giardino da tempo immemore è un’idea affascinante che nasconde un principio curativo non sempre consapevolizzato e tutto da scoprire. È un piccolo universo sacro. È come se gli esseri umani avessero percepito intuitivamente che il proprio posto è non solo accanto alla natura, ma dentro la natura. Molte culture antiche hanno fondato il proprio spirito sul rispetto della natura, come i Pellirossa americani.
Un giorno un indiano Taos Pueblo incontrò Carl Gustav Jung alla ricerca della propria ombra e gli disse:
“I bianchi vogliono sempre qualcosa. Ma che cosa cercano? Sono sempre inquieti, turbati. Non sappiamo cosa vogliono. Non li comprendiamo. Pensiamo siano pazzi”.
Il mondo dell’uomo bianco è Koyaanisqatsi, un mondo disarmonico, un mondo malato che ha bisogno di risanamento dell’anima.
L’urbanizzazione moderna ha strappato l’uomo dal contatto con la natura producendo distorsioni ed effetti negativi, come lo stress correlato ad alti livelli di cortisolo. Potremmo leggere molti rischi patologici attuali connessi ai ritmi non naturali delle persone nei contesti fortemente urbanizzati.
Sembrerebbe che l’essere umano abbia smarrito la memoria e il rispetto per i propri ritmi circadiani. Abbia dimenticato di essere iscritto in un grande cerchio fatto di creature e cose naturali.
L’espressione nel verde esprime appieno l’esperienza immersiva altamente benefica e oggi è da più parti riconosciuta come esperienza terapeutica di per sé. Si pensi a tutta la sensorialità indotta dalle piante, al piacere percepibile, al senso di responsabilità che implica l’occuparsene attivamente, senza limitarsi alla fruizione.
Ormai nel mondo le esperienze organizzate con il verde e finalizzate alla riabilitazione sono innumerevoli. Riguardano soggetti detenuti, anziani, tossicodipendenti, disabili, ovvero persone che vivono un disagio a causa di condizioni contingenti o pregresse e che possono trovare giovamento già solo mediante un’esposizione diretta alla vegetazione. Sono anche documentati gli effetti benefici indotti dall’associazione a pratiche come la meditazione.
Nella nostra esperienza siamo partiti con un progetto di Ortoterapia, detta anche Terapia Orticolturale nell’ottica di una forte attivazione e protagonizzazione del paziente nell’ambito della coltivazione, cura e fruizione alimentare finale del prodotto. Si è trattato di impegnare le persone in un’attività complessa che prevede l’osservazione di regole, nel rispetto dei tempi della terra, nella prospettiva di ricavarne i frutti. Il tossicodipendente così dominato dalla fretta e dalla sua impulsività, si ritrova a conoscere e apprezzare ben altri ritmi.
Successivamente è nata l’idea di concepire uno spazio verde strutturato in un ampio prato erboso punteggiato da alcuni alberi e sedute ad hoc. All’interno dello spazio vi è anche un lavatoio antico che, opportunamente ripulito, è oggi, in quanto nota storica, parte integrante del paesaggio curativo. L’idea delle vaste praterie dei Lakota è lontana, ma ci piace vedere oltre il colore verde.
Abbiamo attivato con gli utenti un processo di co-progettazione continuo, in cui programmiamo piccoli interventi come la realizzazione artigianale di panchine e la messa a dimora di piante e fiori. Non cerchiamo l’abbellimento, ma la possibilità di imparare ad abitare uno spazio nel rispetto della complessità della vita di un intero sistema.
Il giardino è una cosa vivente che ha bisogno di attenzione, pianificazione e manutenzione. Può trasformarsi in una presa in carico collettiva, in grado di sollecitare le capacità di accudimento di ognuno.
Contiamo di crescere con il giardino e che questo ci riservi lezioni di vita per tutti, Operatori e Utenti. Questo è il nostro cerchio.
“Coltivo il mio giardino,
e il mio giardino mi coltiva”